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.Per contro il fascicolo di "Communio" su 25 anni dal Concilio: la riforma della chiesa propone nel 1990 una lettura del Vaticano II con la quale s'interrompe il «silenzio sofferto» (sic) che la rivista s'era imposta: "Communio" (soggetta ad un'emorragia di partecipazione non simmetrica a quella di "Concilium", ma non meno seria) prende la parola, convinta che durante il concilio vicende fin troppo umane ancora una volta ricordarono che il cristianesimo è una religione incarnata che deve fare i conti con le debolezze e i limiti dei suoi membri.Quali siano le pericolose carnalità espresse dall'assise la redazione non lo dice: ma i collaboratori della rivista internazionale sono certi di non appartenere ai due schieramenti di "Cassandre" del post-concilio, che da opposti osservatori predicavano delusione e scontento.Gli interventi di "Communio" infatti sottolineano la chiamata alla santità come elemento che connota in profondità il magistero conciliare: un magistero che per questo, osserva un testo di Hans Urs von Balthasar qui ripreso, «non ha definito nulla».Nelle parole di Ratzinger, che partecipa a questo fascicolo con una conferenza tenuta al meeting annuale di Comunione e liberazione sulla chiesa come compagnia semper reformanda, non bisogna attardarsi in «dispute oziose» per non sottrarre tempo prezioso alla vita di comunione e all'annuncio cristiano 83.Poco dopo arriva la grande opera curata da René Latourelle: Vatican II.Assessment and Perspectives.Twentyfive Years After (19621987) 84.Il teologo canadese e i suoi sessantasette collaboratori comprovano con questi due grandi volumi l'impossibilità di tornare nella via del commento: non solo per una questione di tipo concettuale, ma anche per una questione storico-generazionale, giacché il concilio mostrava, come s'era visto chiaramente al sinodo del 1985, di essere una presenza forte e impalpabile in una leva di credenti che ne erano pienamente figli e altrettanto ignari, in un contesto globale fortemente mutato e destinato ad ancor più gravi e profondi mutamenti dal 1989 in poi.È dunque il momento - se ne avvertono i segni proprio attorno a questi anni - di uno sforzo di storicizzazione del concilio che non si rivolga a chi ricorda o a chi rettifica i ricordi, ma a chi vuol conoscere 85.Già nel 1983 "Vita Monastica" aveva posto, in un intervento di padre Benedetto Calati, il problema dell'humus non-conciliare da cui era uscita la chiesa conciliare.Nel 1988 "Salmanticensis" pubblica gli atti del congresso Iglesia, Teologia y Sociedad veinte anos después del segando Concilio del Vaticano, tenuto dall'ateneo di Salamanca insieme all'università di Wiirzburg l'anno prima 86.Sarà invece con una riunione del 3 dicembre 1988, che per iniziativa di Giuseppe Alberigo prende il via al Centre Sèvres di Parigi il lavoro che condurrà in una dozzina d'anni alla Storia del concilio Vaticano II.Quei cinque volumi, frutto del lavoro di trentanove collaboratori, tradotti in sette lingue, hanno avuto importanti riconoscimenti critici e innumerevoli ricadute di ricerca 87, ma hanno anche ricevuto attacchi molto pesanti ospitati dall'"Osservatore Romano" negli anni 1995-2000 88 e due udienze riparatrici concesse da papa Giovanni Paolo II.Quei volumi si davano come obiettivo quello di fornire una conoscenza storicamente fondata di ciò che era accaduto al Vaticano II: obiettivo raggiunto, se si considera che oltre alla sua mole materiale, l'opera ha sollecitato una messe di ricerche di corredo, di inventari, di opere sia convergenti sia indipendenti89, ivi incluse le sintesi di grandi autori (da Roger Aubert 90 a Klaus Schatz, a Otto H.Pesch 91 e a breve John O'Malley) di cui solo un vero bollettino bibliografico può tenere il conto 92.Tre riduzionismi e tre reazioni.Il giudizio critico sul Vaticano II ha reso meno avventate e interessate le valutazioni sul futuro del concilio stesso 93: è un processo che non ha saputo impedire il consolidarsi di un riduzionismo anticonciliare sviluppato lungo tre direttrici nell'ultimo decennio del secolo XX.La prima riduzione del concilio è quella operata in nome del suo superamento.Un superamento che si riallaccia alla citata proposta di un Vaticano III fatta da Tracy e che trova adesioni anche di segno tutt'affatto diverso 94.Basata su un'ipotesi ermeneutica non storica 95, forte in vari ambienti teologici, l'idea del superamento del concilio è stata fatta proprio da Christian Ducoq, che si sofferma sulla contraddizione interna al testo, e da Denis che deplora l'ingenuità d'un concilio che non ha disegnato architetture istituzionali per le proprie riforme 96.Tesi che sono solo due spie di un più vasto atteggiamento: cosa può esserci di buono in un concilio di maschi bianchi celibatari, agli occhi di una rivendicazione della teologia femminista sempre più cosciente di sé? Cosa può dare ad una prospettiva di liberazione radicale dalle strutture ingiuste del capitalismo ovvero dai meccanismi perversi della globalizzazione un concilio per cui "il mondo" era ancora un concetto bipolare e addomesticabile?97Una riduzione più classica è quella portata dagli ambienti tradizionalisti, sia quelli scomunicati, sia quelli riconciliati nel 1988, sia quelli che hanno sempre sostenuto, anche da ranghi d'altissimo prestigio della chiesa, tesi diffidenti verso i portati del concilio.Essa passa dalla costruzione di allusioni, ipotesi, truismi che devono servire ad ammonire sul buon uso (che in molti casi coincide col non-uso) delle decisioni conciliari.Ciò vale innanzi tutto per il Missale Romanum di Paolo VI - al quale si oppone il messale di san Pio V, chiamandolo però, a causa della sua ultima riedizione alla quale la volontà del papa fece aggiungere san Giuseppe nel canone, il messale «del beato Giovanni XXIII» - ma poi si estende ad altri aspetti della vita liturgica, specialmente durante la prefettura della Congregazione dei riti del cardinale Jorge Medina Estévez (al Vaticano II uno dei più arditi innovatori dell'ecclesiologia, divenuto, dopo il golpe di Pino-chet, assai più attento alle sensibilità tradizionaliste).È la diffidenza verso l'ecumenismo, l'esegesi, ma soprattutto verso il dialogo con le religioni e l'incontro con gli ebrei in modo specialissimo che agita questi ambienti, al punto che per una penna provocatoria come quella del cardinale Giacomo Biffi tutto può leggersi come la realizzazione del Racconto dell'Anticristo di Vladimir Solov'èv, magistero di Giovanni Paolo II incluso 98.Nessuna di queste due riduzioni, però, ha la forza e la pretesa del riduzionismo pastorale: è questa l'idea — già formatasi dentro lo stesso Vaticano II, in base alla quale il concilio non può aver costituito nessuna transizione reale perché avendo esso avuto da Giovanni XXIII un imprinting dichiaratamente pastorale le sue affermazioni vanno sempre lette alla luce del magistero conciliare del Vaticano I e del papato dei tempi anteriori ".Una tesi che circola negli anni novanta per banalizzare il significato di "pastorale" nella teologia di Giovanni XXIII, che nel 1962 (sic) Marie-Dominique Chenu aveva colto in tutta la sua portata.Già allora il domenicano capiva che la parola pastorale diviene se non segno di contraddizione, almeno parola di riunione o di contestazione [.] il carattere pastorale è diventato il primo criterio della verità da formulare e da proporre e non solo il motivo delle decisioni pratiche da adottare.Dunque pastorale qualifica una teologia, un modo di pensare la teologia e di insegnare la fede, meglio: una visione dell'economia di salvezza 100
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